Adulto è colui che ha preso in carico il bambino che è stato, ne è diventato il padre e la madre. Adulto è colui che smette di cercare i propri genitori ovunque, e ciò che loro non hanno saputo o potuto dare.
Trovate in voi la forza per ricomporre la vostra infanzia. Per non soffocare i bambini che incontriamo.
– Emily Mignanelli –
La vita dei figli è un capitolo della storia di vita dei loro genitori.
Crescere i figli pone sfide inevitabili ed in genere a complessità crescente. Ogni fase ha i suoi “compiti evolutivi”, e spetta al genitore affiancarli e prendere parte ai “lavori”, non forzati ma quelli interiori.
E’ indiscutibile, essere genitori oggi è diverso da quello che è stato fino all’altro ieri. Non siamo ancora forniti di tutte le mappe per orientarci tra i cambiamenti sociali, culturali e tecnologici in corso. Pertanto una buona dose di difficoltà (e sana paura) è da mettere in conto.
Accade anche che esperienze difficili con i propri genitori (o con altre figure significative) vengano conservate nella mente infantile in un tipo di memoria inconsapevole e non verbale, che tendono poi ad essere riprodotte da adulti con i nostri figli.
Gli psicologi concordano che come il genitore risponde e comunica emotivamente con il proprio figlio dal primo anno di vita appare decisivo per lo sviluppo della sua personalità.
Il genitore (o chi si fa carico dei processi di crescita) mantiene poi negli anni un ruolo determinante, sebbene non esclusivo, nel generare sentimenti di sicurezza e fiducia che si tradurranno in competenze sociali, emotive e scolastiche.
Non siamo destinati a ripetere obbligatoriamente i comportamenti dei nostri genitori o esperienze sfavorevoli vissute in passato in famiglia.
E’ possibile spezzare questo circolo vizioso cambiando la nostra storia, cioè narrando e rielaborando le nostre esperienze infantili per acquisirne maggiore consapevolezza. Esercitare questa comprensione profonda permette al genitore di entrare in risonanza con tutte le emozioni espresse dal figlio ed affrancarsi dalle modalità precedentemente apprese.
Voci autorevoli sostengono che gli adolescenti attuali, oltre ad alti livelli di fragilità narcisistica, hanno scarsa dimestichezza con il dolore psichico.
E’ una preoccupazione dei nostri tempi, l’idea di dover scansare il dolore come se fosse l’ostacolo di un videogioco.
Le fatiche dei genitori si mescolano con il desiderio di vedere i figli felici. Quando la tristezza è vissuta dall’adolescente come prova della propria inadeguatezza, questa emozione può diventare indicibile ed incomprensibile, tramutandosi in ansia o aggressività.
Comprendere e legittimare le sue fatiche specifiche, senza banalizzare o generalizzare, è il primo passo per la ripresa evolutiva.
Ha ancora senso al giorno d’oggi parlare di una differenza tra cure materne e paterne?
C’è, esiste ancora, una specificità maschile ed una sensibilità femminile nel crescere i figli?
Correnti pedagogiche recenti affermano che le differenze di genere sono divenute sottili, alla luce del fatto che le madri e i padri di oggi si appropriano sempre più di funzioni genitoriali sganciate dal genere.
Il contributo originale e generativo di questi padri e madri è il frutto della consapevolezza dell’educazione ricevuta e del loro modo di rappresentarsi come uomini e donne.
A volte le emozioni possono travolgerci e avere la meglio su di noi.
Numerosi studi mostrano che genitori con traumi non risolti o esperienze di perdita non elaborate hanno alte probabilità di manifestare comportamenti che spaventano i propri figli. Non è la presenza di traumi (nei genitori) ad essere fattore di rischio per un attaccamento disorganizzato, ma è la mancanza di elaborazione. Non è mai troppo tardi per affrontare e dare senso a esperienze del nostro passato. Tentativi di questo genere possono essere di beneficio per noi stessi e per i nostri figli.